LA LIBERAZIONE DI CESENA

Don Piero Altieri Tarda estate, primo autunno del 1944; giorni lontani nei ricordi degli anziani, neppure registrati nella memoria dei più giovani.
Eppure è urgente richiamarli nell’«oggi» che già ci ha introdotti nel III millennio, per non smarrire il rapporto con avvenimenti che, vissuti nella tragedia, devono rimanere a fondamento della nostra identità di uomini liberi.
A partire dalla fine di agosto, lo sforzo militare degli Alleati (sul versante Adriatico operavano le truppe della VIII armata) si era rimesso in moto per lo sfondamento della cosiddetta “Linea Gotica” che i tedeschi avevano costruito attraversando orizzontalmente tutta la penisola, da Pesaro a Livorno.
La loro strategia, fortemente voluta dal premier inglese W. Churchill, era quella di risalire velocemente oltre il Po, verso Trieste e Lubiana per anticipare l’Armata Rossa, che in quei mesi era strettamente in contatto con le formazioni partigiane organizzate in Iugoslavia dal futuro maresciallo Tito. Dopo la caduta del regime fascista il 25 luglio e l’armistizio dell’8 settembre 1943, si era registrato l’intervento in massa dei Tedeschi in Italia non solo per fronteggiare gli Alleati già sbarcati nella penisola, ma per controllare in presa diretta tutto il Paese, avendo favorito per questo scopo la costituzione della Rsi.

Linea Gotica

Ed era esplosa la “guerra civile” e si era organizzata la “resistenza”.
In Romagna, come in tutto il nord d’Italia, i partiti politici avevano ripreso vita (antichi e nuovi), seppure clandestinamente, con l’obiettivo di far crescere nella gente una forte coscienza democratica per rendersi conto del come si era stati stolti nel dare consenso al regime fascista che nel frattempo si era coinvolto tragicamente con il Nazismo hitleriano, ma ancor più per progettare, con il recupero della libertà, un futuro democratico per tutto il popolo italiano.
A loro volta i partiti avevano promosso la resistenza armata delle formazioni partigiane che, tuttavia, muovendosi secondo strategie e finalità ideologiche diverse, più che mettere in difficoltà i Tedeschi nelle retrovie del fronte, provocarono, con le loro azioni, tragiche rappresaglie dei nazisti coadiuvati dai militi delle Brigate Nere.
Ed ecco che alla paura dei bombardamenti si aggiunge la penuria dei generi alimentari, la fatica amara degli sfollamenti verso località ritenute più sicure.
In questo quadro così inquietante le ore dei giorni e delle notti conoscono il dramma dei rastrellamenti, le deportazioni in Germania, le fucilazioni e le impiccagioni.

la liberazione di Cesena

E non c’è paese o strada in Romagna dove un cippo o una lapide non ricordi quei fatti così pieni di crudeltà e di rabbia. Ma fu allora che si sprigionò la forza della resistenza non armata; correndo rischi gravissimi, è tutta una rete di solidarietà che viene in soccorso a chi è stato colpito dalla violenza della guerra e dalla volontà determinata dei Nazifascisti; e spesso il prezzo da pagare fu alto.
Tornano alla mente l’accoglienza ospitale date alle popolazioni costrette ad abbandonare le loro case sugli Appennini per consentire gli appostamenti difensivi della Linea Gotica: Gatteo (Fc) accolse gli sfollati di Sestino (Ps), a Ranchio di Sarsina (Valle del Borello) trovò ospitalità la gente che scendeva da Badia Prataglia; a Dovadola (Fc, Valle del Montone) trovarono soccorso tante famiglie costrette a fuggire da Dicomano e i piccoli paesi attorno al Passo del Muraglione; e sempre, con loro, il parroco.
Si leggono con commozione le pagine del diario scritto dal monaco di Santa Maria del Monte di Cesena, pubblicato con il titolo “Clausura violata”, che racconta della ospitalità, nei mesi di settembre e ottobre, ad oltre ottocento cesenati, accolti nelle robuste e ampie cantine del monastero; e pensare che sulla millenaria Badia benedettina gli Alleati che avanzavano (giungeranno a Cesena il 20 ottobre) avevano scaraventato ben 33mila granate. In un recente saggio storiografico che documenta queste vicende, un titolo dice: “In quei giorni terribili la gente sapeva di poter contare sui suoi preti”; lo documentano i numerosi diari pubblicati negli anni del dopoguerra.

Palazzo del Capitano

Ne ho tentato un bilancio bibliografico, relativamente alle diocesi di Cesena e di Sarsina, con un saggio, “Preti nella bufera della Linea Gotica”, che introduce al “Diario di fatti accaduti nella zona di Linaro e dintorni nel 1944 durante il passaggio del fronte”, scritto dal parroco di Linaro (Valle del Borello) don Luigi Giannessi che condivise con generosità evangelica il dramma che si era abbattuto sulla sua gente.
Aiuto agli sfollati, sostegno ai giovani che si rifiutavano di rispondere ai bandi della Repubblica Sociale, e quindi aiuto ai partigiani e ai prigionieri inglesi fuggiti dopo l’8 settembre 1943 del Casentino (a capo di questa “trafila” i monaci di Camaldoli); aiuto agli ebrei per sottrarli alle persecuzioni dei Nazisti che si avvalsero della complicità dei Repubblichini. Tra gli episodi che hanno segnato questa storia, qui in Romagna, ricordo l’aiuto alla famiglia Brummer, di origini ebraiche. Don Adamo Carloni, in quei giorni ancora studente di teologia, l’aveva ospitata nella sua casa di San Vittore di Cesena, dopo che il fratello don Lazzaro, parroco a Cesenatico, gliela aveva raccomandata per sottrarla alla crudele persecuzione dei nazisti. Scoperti dai fascisti, i Brummer furono arrestati e avviati ai campi di sterminio che non raggiunsero mai perché trucidati presso l’aeroporto di Forlì assieme agli altri ebrei romagnoli “concentrati” presso l’Albergo del Commercio della città. Don Carloni, dopo aver subìto violenze, sfuggì alla deportazione per l’energico intervento del vescovo Beniamino Socche, vero defensor civitatis, che invano aveva tentato di intercedere per la famiglia arrestata.
Il fratello don Lazzaro moriva colpito da una granata, alla vigilia dell’arrivo degli Alleati, mentre portava soccorso e conforto ai malati del vicino ospedale.
Una tarda estate, quella del 1944, ed un autunno di “liberazione”, ma come fu pesante il prezzo pagato dagli Alleati che avanzavano troppo guardinghi, dai combattenti per la libertà, ma soprattutto dalla nostra gente che non rimase indifferente nell’attesa dell’evolversi degli avvenimenti.
E si costituì un patrimonio prezioso per la ricostruzione democratica della Nazione.

    Piero Altieri