Cesena sorse tra due corsi d'acqua (gli odierni Savio e Cesuola) che hanno condizionato con
la loro storia idrogeologica prima la nascita e poi lo sviluppo della città.
Nulla o quasi sappiamo sulla localizzazione del Centro più antico, probabilmente
sul colle Garampo, poiché mancano prove documentarie: forse il nome della
città deriva da un radicale etrusco (
Kesna, stessa radice dell'idronimo
Cesuola); ma altri lo connettono all'illustre famiglia sarsinate dei
Caesii,
nota alla tradizione epigrafica di epoca romana ma di antica origine latino-campana.
Cesena, come l'antichissimo centro umbro di Sarsina, si trovava lungo itinerario
che fin dalla più remota antichità dalla vallata del Savio conduceva a quella
del Tevere e quindi al versante tirrenico. I territori della valle del Savio
infatti sono stati frequentati dall'uomo da almeno 15.000 anni, a partire
cioè dalle fasi finali del paleolitico superiore. La documentazione archeologica
più antica relativa ad insediamenti risale al neolitico recente (S. Egidio,
cultura di Diana), mentre essi tendono ad infittirsi per le epoche successive
del bronzo soprattutto nella fase tarda (Mensa Matelica, Case Missiroli, S.
Martino in Fiume, Guado della Fornasaccia, Montaletto).

Se i ritrovamenti sembrano rarefarsi nella prima
età del ferro (IX sec. a.C.), il territorio cesenate, in aree di recente urbanizzazione
(Casa del Diavolo, via Cerchia Vigne, S. Egidio), ha evidenziato un'estesa
frequentazione a partire dalla seconda età del ferro (VI a.C.) caratterizzata
dal prevalere della cultura umbro-etrusca, a riprova dell'espansione anche
nel cesenate di una popolazione centro-italica di cultura etrusca, gli
Umbri
Sapinates, che s'attesteranno nell'alta valle del Savio (
Sapis)
con il centro appunto di Sarsina e parallelamente con la città di
Mevaniola
(oggi Galeata) nell'alta valle del Bidente. La successiva fase celtica, di
cui concordemente ci riferiscono le fonti letterarie, non è supportata al
momento da prove archeologiche.
Con la fondazione di una colonia di diritto latino a Rimini (268 a.C.) e la sottomissione dei
Sapinates (266 a.C.), si apriva anche per Cesena la fase della romanizzazione,
ancor oggi documentata da quell'intervento sul territorio caratterizzato da
un'imponente operazione di appoderamento coloniario, con conseguente razionalizzazione
territoriale

e suddivisione agraria, che va sotto il nome di
centuriazione riminese-cesenate:
una delle più antiche (III sec. a.C.), quasi integralmente conservata solo
in area cesenate, i cui reticoli di
cardini e
decumani, orientati
secundum coelum (e cioè rispettivamente in direzione nord-sud ed est-ovest)
e intersecandosi fra loro, identificano le quadre che regolarmente (le maglie
centuriali sono quadrati di m.708-710 di lato) suddividono e caratterizzano
ancor oggi il paesaggio agrario della pianura cesenate, compresa fra il Savio
e il Rubicone. Per quanto riguarda invece l'evoluzione di Cesena, nella prima
fase della romanizzazione non si hanno concreti elementi documentari fino
all'epoca della sua costituzione in
municipium (I sec. a.C.),
anche se possiamo supporre che la città e il territorio siano stati coinvolti
negli avvenimenti delle guerre civili tardorepubblicane, come testimonia il
ritrovamento del "tesoretto" di monete a Case Missiroli, occultazione
certamente suggerita dalle difficoltà del momento.
Non è citata dalle fonti storiche fino ad età tardoantica, ma appare nell'elenco
dei centri menzionati da Plinio il Vecchio nella
Descriptio Italiae
e soprattutto è segnalata col toponimo di
Curva
Caesena (forse riferito alla curva che la via Emilia doveva percorrere
seguendo la morfologia del terreno alla base della collina del Garampo) nella
Tabula Peutingeriana, itinerario
tardo-imperiale. Nonostante i numerosi ritrovamenti puntiformi in area urbana
e le indagini archeologiche di questi ultimi anni che hanno interessato il
centro urbano, i dati emersi non sono ancora in grado di ricostruire la fisionomia
dell'abitato in epoca romana, caso raro di città della Cispadana la cui lettura
dell'abitato antico non sia possibile attraverso la configurazione della struttura
urbanistica attuale. La documentazione archeologica suggerisce, nella prima
età imperiale, un'espansione dell'antico centro alle pendici del colle lungo
le direttrici viarie principali (la via Emilia, forse in parte ricalcata dall'odierno
asse C.so Mazzini-C.so Garibaldi-C.so Comandini; certo è invece il percorso
dell'attuale C.so Sozzi-Cavour-via Cervese, lungo il quale si raggiungeva
la via
Popilia, tracciato costiero
di collegamento fra Rimini e Ravenna ); e interventi edilizi di prestigio
nella tarda antichità: risalgono infatti a quest'epoca l'ampliamento di un
edificio termale forse pubblico (III sec. d.C.) e, nella stessa area, i mosaici
pavimentali policromi di via Tiberti relativi ad una residenza urbana di alto
livello (V sec. d.C.), forse trasformata in residenza palaziale in età bizantina.
Cesena è infatti spesso menzionata dalle fonti come uno dei nodi nevralgici per i numerosi
confronti militari che si scatenano in seguito al collasso dell'impero ed
è espressamente citata come fortezza nelle guerre greco-gotiche da Procopio
(VI sec.): ciò potrebbe suggerire una crisi in epoca altomedioevale della
parte pedecollinare dell'abitato a vantaggio della più sicura condizione offerta
dal colle Garampo su cui evidentemente si articolava un potente sistema difensivo.
Occupata nel 743 dai Longobardi , ritornò all'Esarcato su donazione di Pipino
(nel 754), per passare sotto la supremazia degli Arcivescovi di Ravenna nel
X secolo con la bolla di papa Gregorio V (997) e col diploma di Ottone III
(999).
Tra l'XI e il XII secolo l'inizio delle libertà comunali agevolano lo sviluppo delle attività
artigiane e mercantili: anche Cesena si avvantaggia di questa situazione e
nel sec. XII si regge con i suoi ordinamenti municipali con vantaggio per
lo sviluppo civile, economico e demografico della città. La sua vita è però
caratterizzata da frequenti lotte di fazioni in contrasto fra loro per il
governo della città e, come per i comuni vicini, si manifestano le divisioni
fra guelfi e ghibellini originate dalle vicende contrastanti fra papato e
impero. Sappiamo che a Cesena dopo la battaglia di Legnano trovò asilo nella
rocca l’imperatore Federico Barbarossa e successivamente un altro imperatore,
Federico II, munì di nuove difese la città (di cui sopravvivono ancora lacerti).
Il XIII e il XIV secolo sono caratterizzati da continue lotte fra opposti
partiti e interessi, che trovarono un breve momento di pausa con la “tirannia”
di Guido da Montefeltro, dopo la rinuncia di Rodolfo d’Asburgo alle pretese
imperiali sulla Romagna (1278), e con quella successiva di Galasso da Montefeltro
che la resse fino al 1300. Dante definì magistralmente la situazione politica
della Romagna e di Cesena in questo periodo quando di lei dice:
“tra
tirannia si vive e stato franco”. Allorché Cesena elesse Francesco Ordelaffi,
già signore di Forlì, a capitano del popolo, si aprì un periodo di forti contrasti
con la Chiesa il cui legato, Bertrando del Poggetto era stato cacciato dalle
città della provincia (1338): Papa Innocenzo VI inviò in Italia il card. Egidio
Albornoz che, dopo aver ricondotto sotto lo Stato Pontificio la maggior parte
delle città ribelli, si rivolse contro l’Ordelaffi e l’alleato Manfredi di
Faenza, bandendo contro di loro una crociata: si giunse così all’eroica ma
inutile difesa di Cesena da parte di Cia degli Ubaldini, moglie di Francesco,
e alla resa della città (1357) che la riconsegnò sotto l’amministrazione diretta
della Chiesa.
Per quanto riguarda l'articolazione urbana, fino a tutto il sec. XIII abbiamo rare indicazioni
dalle fonti e di interpretazione controversa: è solo alla fine del Trecento
che la città raggiunge la sua caratteristica forma "di scorpione"
che non cambierà più, se non dal punto di vista edilizio. La prima e più puntuale
descrizione della città ci viene fornita dal cardinal Anglico, vicario generale
per gli Stati della Chiesa in Italia, nella relazione che nel 1371 invia al
pontefice Urbano V, preziosa per i dati e le notizie anche demografiche tramandate:
la popolazione urbana raggiunge circa le 8300 unità mentre complessivamente,
comprendendo il contado, si contano 3475 “focolari” (17375 ab.). Sono cifre
che suggeriscono una situazione socio-economica piuttosto difficile, la quale
infatti finirà con lo sfociare in aperta ribellione allo Stato della Chiesa
(1375). Il papa Gregorio XI affidava allora al cardinal legato Roberto di
Ginevra il compito di rappacificare la regione, e questi, dopo aver inviato
inutilmente le sue soldatesche mercenarie bretoni e francesi contro Bologna,
occupò Cesena che ufficialmente era pur rimasta fedele al papa.
Ma una rissa fra popolazione e truppe mercenarie offerse al Cardinale il pretesto per un massacro
generalizzato di cittadini: i saccheggi e gli incendi lasciarono la città
praticamente distrutta (1-3 febbraio 1377). Il sacco dei Bretoni è il fatto
traumatico più grave che segnò profondamente anche la storia urbanistica di
Cesena.
La concessione della distrutta città a Galeotto Malatesti da parte del papa Urbano VI, apre l’epoca
della signoria malatestiana che rappresenta per Cesena la parentesi più felice:
sotto l’aspetto urbanistico ed edilizio iniziò la ricostruzione della città,
operazione completata dai successori Andrea, Carlo e Pandolfo Malatesti, che
ne trasformarono l’assetto, costruendo la spianata dell’odierna Piazza del
Popolo, trasferendo nella parte pedemontana la Cattedrale di S. Giovanni Battista
e occupando con la nuova Rocca i colli Garampo e Sterlino.
Ma è con Domenico Malatesti, detto Malatesta Novello che Cesena visse il periodo più florido.
La sua attività, più che per le imprese militari, si distinse per le opere di pace e per il
suo splendido mecenatismo, di cui l’edificazione della biblioteca ad opera
di Matteo Nuti da Fano, nella vecchia fabbrica del convento di S. Francesco,
prima biblioteca pubblica che si ricordi e a tutt’oggi la meglio conservata
fra tutte le librerie umanistiche conventuali in Italia e in Europa, è l’opera
che diede a Malatesta Novello la maggior gloria. L’attività edilizia promossa
dal signore di Cesena annovera anche la costruzione ex novo dell’ospedale
del Crocefisso, dei conventi di S. Caterina e dell’Osservanza, nonché contributi
per una larga serie di ristrutturazioni ai maggiori edifici della città. Con
la morte di Malatesta Novello (1465) finisce a Cesena l’ultima signoria e
d’ora in poi le vicende della città saranno intimamente connesse con la storia
dello stato pontificio.
Dopo una parentesi di torbidi causati dalle lotte sanguinose fra le fazioni dei Tiberti e dei
Martinelli, il 2 agosto 1500 entrava a Cesena fra l’esultanza generale Cesare
Borgia che elesse la città a capitale del suo ducato di Romagna. La sua signoria,
di breve durata, non diede frutti, benché riuscisse a rappacificare le fazioni
cittadine. E' d'iniziativa borgiana quell'ardito progetto leonardesco, mai
realizzato, di scavare un canale navigabile che collegasse il porto di Cesenatico
a Cesena.
La dominazione pontificia priva la città di una sua vita politica autonoma: furono nominalmente confermati
i vecchi ordinamenti comunali, del resto sopravvissuti anche durante il periodo
della signoria, ma l’autorità di queste magistrature era solo formale perché
tutto faceva capo ai rappresentanti della S. Sede: il Legato, il Presidente
della Romagna e il Governatore, scelto e pagato dal Presidente. Una diffusa
corruzione fra i funzionari governativi e i dazi innumerevoli che gravavano
sui beni di maggior consumo, fecero progressivamente decadere le condizioni
economiche della città; anche quando tra il XVIII e il XIX secolo Cesena annoverò
due Papi (Pio VI Braschi e Pio VII Chiaramonti), le condizioni socio-economiche
complessive non migliorarono.
La
"Relatione dell’antica e nobile città di Cesena" lasciataci da Cesare Brissio sul
finire del XVI secolo, ci consegna quell’immagine di città, chiusa entro le
mura urbiche rinascimentali, sovrastata dalla Rocca, col tessuto urbano suddiviso
in 14 contrade, che resterà immutato fino al sec. XIX. Il controllo dell'autorità
ecclesiastica rafforza soprattutto il sistema chiesastico e conventuale della
città, in cui fra XVI e XVIII secolo lavorano architetti valenti, quali Mattia
Angeloni, Agostino Azzolini, Cosimo Morelli e Luigi Vanvitelli.
Intensa è pure l'attività di pittori e artisti: nel Seicento la pittura vive un momento di splendore
con le opere, tra gli altri, di Scipione Sacco; ma nel Settecento non va dimenticata
l'attività di Corrado Giaquinto, autore fra l'altro della magnifica pala sull'altare
della chiesa del Suffragio.
A Cesena non si spense mai l’interessamento per le lettere e le arti che erano mirabilmente
fiorite con Malatesta Novello: ciò progressivamente darà vita a Cesena ad
una università la quale, ottenuto il riconoscimento giuridico nel 1570 (soppressa
solo nel 1800 con decreto del governo francese), ebbe vita modesta , ma, assieme
ad alcune Accademie cittadine, mantenne sempre vivo l’interesse per gli studi.
La vita della città che per secoli non aveva più conosciuto violenti scossoni, fu risvegliata
quando Napoleone e le truppe francesi nel 1797 entrarono in città, osannate
dal popolo e quando poco dopo fu innalzato “l’albero della libertà”. Trovarono
per la prima volta attuazione le aspirazioni ad un governo democratico e civile
e, secondo tali principi, fu riordinata l’amministrazione e furono emanate
ordinanze che regolavano la vita cittadina. Si vide poi in seguito che anche
a Cesena tali semi avevano trovato terreno fertile. Intanto si era aperta,
dopo secoli di inerzia, una nuova fase di espansione edilizia: già nel corso
del Settecento un complesso di edifici avevano rinnovato il volto della città,
dandoci quello che è in larga parte l'odierno carattere monumentale del centro
storico, ma è a partire dal periodo francese in poi che il tessuto edilizio
è destinato a variare rapidamente, anche attraverso sventramenti e abbattimenti
talvolta traumatici.
La caduta napoleonica e il ripristino del potere pontificio, aprono la fase delle lotte risorgimentali
cui la città partecipò col suo contributo di idee e di sangue: Pier Maria
Caporali ed Eduardo Fabbri organizzarono un moto insurrezionale negli anni
1820-21, ma la sconfitta dei costituzionali a Novara fece fallire ogni tentativo;
tristemente famoso è il processo celebrato nel 1825 dal card. Rivarola, nel
quale molti cesenati indiziati di liberalismo furono giudicati e condannati
a pene gravissime. Nello stesso anno a Roma veniva decapitato il carbonaro
cesenate Leonida Montanari. Resta inoltre famoso il moto del 1832 che vide
a Cesena un duro scontro tra patrioti e truppe papaline, in seguito al quale
la città subì un violento saccheggio. Molti cesenati poi entrarono nelle fila
mazziniane e parteciparono con Garibaldi alle lotte del nostro Risorgimento.
Fra i capi mazziniani più conosciuti si ricordano i cesenati Eugenio Valzania
e Federico Comandini.
Dopo il travaglio e l’intensa passione politica del periodo risorgimentale, Cesena, nella nuova
realtà post-unitaria, visse alcuni decenni di rapidi cambiamenti ( sotto il
profilo urbanistico ed edilizio l'abbattimento dell'antico borgo Chiesa Nuova
fu l'episodio più traumatico), ma anche di intensi contrasti politici e sociali:
dapprima i mazziniani che non vollero riconoscere la realtà della monarchia
sabauda, poi le lotte della nascente classe operaia e gli scontri fra mazziniani
e socialisti rivoluzionari, benché la lotta comune contro la monarchia li
trovasse talvolta alleati. Solo sul finire del secolo nasceranno a Cesena
le organizzazioni popolari moderne dei repubblicani e dei socialisti, il cui
partito nel frattempo era stato rifondato su nuovi principi da Andrea Costa.
La scena politica continua però oltre la fine del secolo ad essere dominata
dai liberali, moderati e costituzionali (i cui uomini più autorevoli furono
Gaspare Finali e Nazareno Trovanelli), mentre le condizioni di vita della
popolazione, assai precarie, alimentavano continue tensioni sociali.
Solo agli inizi del Novecento il Partito Repubblicano, sotto la direzione di Ubaldo Comandini,
conquistò la guida dell'Amministrazione comunale tenuta ininterrottamente fino
all'avvento del fascismo e, anche con l'appoggio dei socialisti, contribuì
con le sue scelte politiche al miglioramento delle condizioni socialie culturali
della popolazione: grazie a tali iniziative anche l'agricoltura del territorio
cesenate conseguì alti livelli produttivi per razionalità di metodi e modernità
d'impianti. La vita culturale della città raggiunse inoltre traguardi molto
significativi di cui è a tutt'oggi illustre esempio l'attività letteraria
di Renato Serra, prematuramente scomparso in seguito agli eventi della prima
guerra mondiale.
Dopo un periodo di gravi contrasti e di torbidi che interessarono anche Cesena negli anni
che seguirono la fine del conflitto, l'avvento del fascismo rappresentò il
congelamento di ogni iniziativa politica e un arretramento culturale che progressivamente
si diffuse in ogni campo della cultura cittadina. Ma nella lotta antifascista
e, durante il dramma della seconda Guerra Mondiale, nella lotta di Liberazione,
i cesenati furono molto spesso in prima linea, con un rilevante contributo
di uomini e di sangue.
Tratto da:
"Guida di Cesena",
Società Editrice "Il Ponte Vecchio",
Cesena Maggio 2001.